Nella società di massa consumistica l’identità è collegata alle scelte di consumo e quindi le nostre scelte di consumo dicono chi siamo (vi ricordate al liceo chi portava la maglia di emergency?). Ma perché una scelta di consumo è anche una scelta di identità? partiamo dal presupposto che il consumatore sia consapevole delle proprie preferenze dunque acquistare vuol dire possedere e ciò che possediamo mostra agli altri ciò che siamo. Questo ciclo del comprare-possedere-essere indica sostanzialmente che il possesso e l’ostentazione sono parte della nostra realtà e sono indubbiamente vettori importanti per la comunicazione. Dunque il possesso è un processo più complicato del semplice acquisto.
Ovviamente questa teoria vale anche per le cose che non compriamo e quindi per le rinunce di identità come ad esempio nel fair trail per cui c’è una migliore ridistribuzione di profitto rispetto a quella di mercato. Sono per la maggior parte considerazioni logiche e morali e non economiche, ma chiarisce a noi stessi e agli altri che tipo di persone siamo o che vogliamo apparire ( innnanzi tutto siamo consumatori!). Infatti sebbene lo schema di consumo sia bisogno-preferenza-scelta, in realtà c’è anche la scelta di non comprare, di essere più parsimoniosi (volontary semplicity: fare i biscotti invece di comprarli). Ad ogni caso io sono le cose che possiedo, ma anche le cose che scelgo di non possedere.
Le scelte del consumatore sono quindi dettate da etica, ideologia, morale e dal sociale, scelte legate alla sensibilità e ai valori personali perfino scelte legate alle tradizioni culturali (come la battaglia del papa contro il capitalismo). Ma le persone quando scelgono fanno riferimento a degli stereotipi a cui sono collegati una serie di oggetti con una serie di particolari caratteristiche. Ma lo stereotipo coincide davvero con quello che vogliamo? Che cosa comunichiamo con questo oggetto? Quindi alla fine non prendiamo decisioni solo in base ai soldi.
Ci sono scelte che passano per forza dal mercato, ma se non usiamo il mercato per appagare un bisogno allora “rubiamo” ( come ad esempio il caso della musica scaricata).
Se esprimiamo l’identità con gli oggetti attribuiamo ad essi il compito di trasferire agli altri determinate caratteristiche. Ci ritroviamo davanti a individuo – oggetto – folla. Ma in realtà si può innnescare anche il processo contrario “ le cose che possiedi alla fine ti possiedono” (come in fight club) ovvero folla- oggetto – individuo. La folla attribuisce all’oggetto un valore che noi vogliamo dimostrare, comunicare in modo tale da farci attribuire quelle etichette. In altre parole si cerca di far riflettere su di noi le caratteristiche di quell’oggetto (non è questo che fa la moda?)
Ma qualè il limite del consumo? il consumatore compra e quando consuma incrementa la propria soddisfazione. Certe volte soddisfiamo i nostri bisogni con cose superiori alla necessità ad esempio scegliamo di prendere il vino della casa o in bottiglia. La marca da un senso di sicurezza perché non abbiamo la capacità di giudicare un vino senza l’etichetta e perché da un senso di importanza, superiorità
Esistono però tipi di comportamenti di consumo più irrazionali come il fanatismo quasi patologico per cui ci si attacca ad un idea o ad un oggetto. Qui ci si allontana sempre di più dalla tangibilità della scelta e compaiono condizioni di scelta che vanno al di la del prodotto. Un esempio potrebbe essere il Mac; è visto come una religione, come crescita esistenziale che constriuisce a migliorare il senso di se, come se avesse un valore metafisico (possession of extended self). Molti di noi hanno un autopercezione che passa attraverso le cose che possediamo, un corredo di oggetti che costruiscono il se. Alcuni hanno anche tratti estremi che si trasformano in compulsioni che possono essere lesivi per noi e gli altri, come il gioco d’azzardo le droghe ecc.
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Federica Brancale