Come profilare gli utenti anonimi nel Content Marketing B2B

Hitch – Andy Tennant

Fino a poco tempo fa, quando ci si riferiva al mercato B2B (business-to-business), la nostra formazione d’attacco prevedeva come uomini di punta i commerciali.

In questo ambito le leve del Marketing classico erano ritenute superflue: vi sono più decisori coinvolti e vi è meno impulsività di acquisto. Non c’è spazio per le emozioni: i responsabili, infatti, si trovano a gestire soldi non propri e devono assicurarsi di procedere per il meglio dell’azienda.

Per questo solitamente un ruolo di primo piano era assegnato ai commerciali che avevano il compito di avvicinare i buyers alle fiere e agli eventi di settore e di presentare con dovizia di dettagli il prodotto o il servizio dell’azienda.

Ma nell’arco di pochi anni, con l’avvento del digitale, è cambiato tantissimo il contesto relazionale: mentre prima i decisori dipendevano dai commerciali per essere aggiornati sulle ultime novità di settore, adesso sono in grado di compiere ricerche online in totale autonomia.

Cosa è cambiato

La Rete ha portato all’advocacy indipendente e questo processo sta coinvolgendo sia B2C sia B2B. Basta pensare solo al successo di Amazon come motore di ricerca: secondo BloomReach il 55% degli utenti B2C avvia ricerche di prodotto online su Amazon rispetto al 28% che opta per altri motori e questo perché vi sono recensioni di altri utenti che hanno acquistato.

E lo stesso vale per il B2B: ormai il 60% del ciclo di acquisto si svolge senza il coinvolgimento dei commerciali. Come afferma Scott Farquhar, i clienti non vogliono perdere tempo con loro perché tutto quello che potrebbero dire lo possono trovare in Rete e pure con maggiori garanzie di imparzialità. Siamo nell’età della trasparenza.

Per questo bisogna comunicare in maniera diversa con gli utenti B2B, a partire dall’analisi dei loro bisogni. E il Content Marketing è la risposta a queste esigenze perché dà il via a un processo di inbound dove si educano gli utenti dando loro informazioni utili e guidandoli nelle loro scelte.

Come ha affermato Alessandra Salimbene a SMAU, non si tratta più di vendere, bensì di farsi comprare: la proposta del prodotto/servizio da parte del commerciale deve essere fatta solo quando la relazione è matura, ovvero è già stata “coltivata” dall’inbound.

Come si fa?

C’è però un piccolo problemino. Se effettivamente i buyers amano farsi un’idea del prodotto in totale indipendenza, di certo non andranno a palesarsi nella loro navigazione per non correre il rischio di essere contattati.

Secondo alcune fonti, sappiamo che il 98% degli utenti che visitano i siti aziendali lo fanno in anonimo e questo ci rende difficile preparare attività di inbound su misura. E sicuramente una comunicazione personalizzata, che è orientata a specifici cluster di clienti, è più efficace.

In questo caso uno strumento davvero utile si rivela un DAM (Digital Asset Management) Intelligente come THRON: esso è una piattaforma dove è possibile accentrare tutti i contenuti aziendali con il vantaggio di ridurre i costi di gestione dei processi legati al loro ciclo di vita. Questo per via del supporto dell’Intelligenza Artificiale che classifica gli asset e li distribuisce in tutti i canali, adattandoli automaticamente ai formati richiesti.

La classificazione operata dai motori AI consente di dar vita successivamente a un matching tra le tag dei contenuti pubblicati e l’utente che li ha visitati, popolando il suo profilo con le relative informazioni e quindi permettendo di conoscere in tempo reale il suo intero percorso di navigazione e gli interessi dimostrati.

Questa strategia si chiama Content Intelligence e funziona anche per gli utenti anonimi.

L’archeologia della comunicazione

La Content Intelligence (CI) funziona proprio come l’archeologia, osserva principi di stratificazione: più si va in profondità maggiore è la conoscenza della storia di un luogo, fino ai primordi.

Negli strati più superficiali la CI riesce a registrare informazioni sugli interessi degli utenti anonimi perché registra il loro ID: dall’analisi si riesce a evincere quali sono i topic, i trends e le CTA (call-to-action) che hanno maggiormente spinto alla conversione dando una chiara direzione editoriale da seguire.

Mano a mano che la relazione con l’utente si rafforza grazie a contenuti utili, costruiti secondo le esigenze espresse nei dati raccolti in precedenza, e questo decide di palesarsi (si iscrive a una newsletter etc.), la CI riesce a recuperare tutti i dati di navigazione precedenti e a mettere sott’occhio dell’azienda una dashboard completa con l’intera storia del percorso dell’utente sui canali del brand.

In questo modo la conoscenza si fa approfondita ed è facile profilarlo in modo da inviargli messaggi confezionati su misura. E a livello di B2B, la relazione si fa vincente perché la comunicazione parte sempre dall’ascolto delle esigenze dei clienti, fino a guidarli all’acquisto.

Vuoi sapere di piĂą? Scopri come fidelizzare i clienti!