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CASE #6 Brand Strategy & Content PMI B2C

Introduzione

Contesto

Settore dell’energia, PMI

Obiettivo

Definire un'identità di brand

Metodologia

Design Thinking

Analisi effettuate

Analisi domanda, mercato, concorrenza, target

Strumenti e tecniche

Buyer personas, SWOT, excel, google trend, google search, 

Problema

  • Lanciare nuovo prodotto e servizio innovativo
  • Creare un brand per fare un investimento forte

Gestione soluzione

  • Attivazione servizio rebranding
  • Creazione ricerca di mercato
  • Definizione brand identity
  • Analisi rischi e fattibilità del’idea

Risultato

  • Evidenziato che il servizio non era abbastanza differenziato rispetto all’offerta e la possiiblità di fallire era alta.

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Racconto

Call to adventure

Ero a Napoli, la mia città di origine, con Francesca e Giuseppe, per realizzare quella che era la prima di una lunga serie di collaborazioni in chiave di branding. La sfida era creare un’identità di brand per poi costruire la sua esperienza e i suoi contenuti (brand experience). Il mio aiuto serviva per definire gli elementi strategici dell’identità, mentre Giuseppe e Francesca, con l’aiuto del loro team, si sarebbero occupati della costruzione della brand platform.

Abbiamo definito gli output che ci servivano per costruire questa identità e le metodologie per raggiungerli, iniziando dal caro brief canvas, che è stato delegato da compilare all’azienda. Ci siamo resi conto che il cliente voleva lavorare sul prodotto A, ma sapevamo che il mercato era saturo e che lui non esisteva. Francesca e Giuseppe hanno capito in quel momento che serviva un tavolo multidisciplinare fuori dagli schemi e hanno iniziato a costruirlo.

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Supernatural aid

Avevamo bisogno di un creativo, di un marketer, di un data analyst e di un esperto di innovazione (che consente a un brand che fa commodity di avere un valore competitivo nel mercato). Servivano esperienze diverse, insieme al team del cliente, per portare al facilitatore differenti modi di analizzare quel settore. Un creativo strategico, uno specialista del brand con la visione d’insieme, che univa tutti gli altri e che li dirigeva verso l’output che il cliente desiderava raggiungere, ha consentito di coordinare in modo coerente la creazione della visual identity, facendo da collante tra la strategia e lo sviluppo creativo.

Il brand specialist è riuscito a condividere la conoscenza strategica con persone che non avevano preso parte al workshop, ma che in qualche modo dovevano venire a conoscenza del portato strategico al fine di realizzare in modo coerente la brand identity. Presa dall’entusiasmo, a quel tavolo di persone con altissimi livelli di competenza, ho avuto un’idea. Dovevo usare quelle competenze per raggiungere al meglio gli scopi del workshop, di cui non ero una grande esperta. Abbiamo creato così il brand strategy canvas con il copy, Giuseppe e Francesca; abbiamo deciso di definire, oltre alla VP, il TOV, il territorio di comunicazione, i pillars, le reason why eccetera. Un brainstorming e una penna in mano e in 10 minuti è venuto fuori uno dei canvas più potenti che abbia mai disegnato.

Challenges and temptations

Avevamo a che fare con un cliente con numerosi stakeholder molto preparati. C’era bisogno di guadagnarsi la fiducia dei più scettici. In particolare, c’era uno stakeholder con difficoltà di espressione (forse perché era un po’ in minoranza) che rappresentava il nostro amato bias: l’elemento di noia, che in realtà nasconde quasi sempre il valore più alto. Era l’elemento scomodo, il bastian contrario, il freak.

Riconoscendolo, ho capito subito di dover usare un altro registro. Sono stata molto morbida ed educata, ho cercato di valorizzare davanti agli altri tutto quello che diceva e di inglobarlo quando stava zitto, veniva contraddetto o denigrato. Abbiamo lavorato con empathy map, POV, buyer personas e VP, concentrandoci sul servizio per il quale eravamo stati ingaggiati (le commodity). Ci siamo fermati. È stata una giornata molto faticosa, ma soddisfacente.

Abisso e transformation

Era sera, eravamo al bar a fare il debrief della giornata appena terminata. Francesca e Giuseppe si sono accorti che qualcosa non tornava e ne abbiamo parlato tutti insieme. In realtà, dal flusso erano venute fuori due buyer personas per due tipi di servizi diversi ed era necessario fare una scelta. Non capivamo più l’ingaggio. È stata una nottata agitata e mi è servita un’ora di yoga per riprendermi e calmarmi, visto che le mie solite pause erano state “rubate” dai debrief di Francesca e Giuseppe, che in quel momento ho odiato, ma che sono stati fondamentali.

Così abbiamo cambiato in corsa l’agenda. Dovevamo per prima cosa capire il vero core-business del brand. In 15 minuti abbiamo cambiato tutti gli esercizi e abbiamo introdotto nuovi canvas. Ho improvvisato, come avviene nelle migliori Jazz session. Per capire meglio la vera mission, ho introdotto un esercizio focale, la 20 year roadmap: un esercizio provocatorio sul futuro. A un certo punto c’è stata anche una chiacchierata molto “personale”. Mi sono chinata per assumere un atteggiamento corporale più aperto e incline a ricevere informazioni (dall alto in basso), così da mettere a proprio agio il CEO che stava per tirare fuori la sua vera mission. La domanda provocatoria è stata: “Ma perché tu fai tutto questo? Qual è il senso della tua vita?” Da lì è uscita la vera mission dell’azienda, qualcosa che era rimasto nascosto per mesi o chissà quanti anni. È stato il momento dell’“eruka!”, da cui è iniziato il lavoro in discesa. Abbiamo definito mission e vision: il cliente voleva vendere i servizi di efficientamento perché la sua reale missione era quella di rendere autonome le persone. Questo era il motivo di esistenza. C’è stato un pivot: eravamo sul prodotto A e abbiamo spostato tutto il lavoro sul prodotto B. Ci tengo a sottolineare molto questo momento, perché proprio lì il CEO non stava più delegando all’agenzia tutto il lavoro, ma aveva capito che doveva collaborare con noi per tirare fuori il suo valore e la sua mission. Aveva capito che l’approccio gli consentiva realmente di indagare e dare voce autentica alle sue idee e ai suoi concetti astratti, fino a quel momento chiusi solo nella sua testa. L’approccio ha creato una visione oggettiva dell’azienda, una vision condivisa con tutti. Ogni membro del team si è sentito un partecipante attivo, uscendo da un approccio egocentrico di azienda. Stavamo co-creando in modo libero e senza giudizi gerarchici o di leadership top-down. Il team interno lavorava in un’unica direzione, spinto dalla nuova consapevolezza e dall’allineamento strategico. Aggiungo che la valorizzazione del nostro bias ha portato informazioni fondamentali che nessun altro conosceva all’interno del tavolo. È stato proprio grazie a questa persona che è avvenuto il pivot. È stato un bellissimo momento.

Spostando tutta l’attenzione sul nuovo core, avevamo bisogno di più dati. Abbiamo fatto una ricerca di mercato sull’efficientamento e abbiamo creato le nuove buyer personas validate dal mercato. Ho stampato e incorniciato il post-it con la mission e la vision e l’ho regalato al CEO. Durante il viaggio di ritorno ho pianto, rendendomi conto di quanta bellezza può far parte di questo lavoro e scrivendo 20 pagine in modalità “flusso di coscienza” sul mio libricino degli appunti.

Challenges and temptations

Per la seconda parte ho dovuto portare tutto online, con nuove dinamiche e strumenti. Tutto da remoto, cercando di coinvolgere il team e di tenere uno standard qualitativo elevato.

Siamo ripartiti dagli esercizi delle buyer personas con i dati alla mano (dopo la ricerca di mercato). È stato tutto molto più veloce, perché abbiamo utilizzato buyer personas generiche costruite nelle prime giornate, più i dati aggiornati sul nuovo servizio; abbiamo così creato facilmente una nuova buyer personas (chiaro esempio di come il dato renda efficiente il processo). Abbiamo creato la nuova value proposition, seguendo il processo iterativo, dove una nuova informazione ti fa tornare agli step precedenti per renderli più orientati al vero risultato.

Dopo la value proposition, ho usato l’esercizio degli archetipi. C’è stato un momento di confusione, perché le persone si sono lasciate coinvolgere e appassionare così tanto che ognuno si è riconosciuto in un archetipo, mentre l’esercizio si basava sull’identificare il brand nell’archetipo, non gli individui. Questo ha portato un momento di conflitto e dolore tra l’archetipo dell’eroe e quello dell’uomo comune: i membri del team non accettavano di essere l’uomo comune, quando in realtà era proprio quello l’archetipo su cui poi abbiamo costruito il TOV, il carattere del brand e il trattamento fotografico. Andando avanti, ho compreso che esercizi difficili hanno bisogno di più tempo per essere digeriti. Avevamo tutta la brand strategy, ora toccava ai visual designer. Il team creativo ha elaborato quelle informazioni e ha consegnato il territorio di comunicazione, il TOV e il carattere del brand: era finalmente nelle condizioni di realizzare in modo coerente le identity.

Return

Abbiamo definito i concept visivi, partendo dalla parte strategica (mission, vision, UVP, TOV e archetipo). Sono stati creati tipografia, logo design, paletta cromatica ed elementi di sistema (icone, texture ecc.). È stata creata tutta la parte di visual identity, insieme alle relative regole di applicazione. Un super manuale di brand.

È stato un workshop fuori dalle righe, dal cambio dell’agenda, fino al pivot e alla necessità di spostarsi online. Sono stata messa nelle condizioni di dover modificare l’agenda e il flusso del lavoro in pochissimo tempo, al fine di fare uscire il DNA dell’azienda. Erano cambiate tutte le carte in tavola e, uscendo dalla comfort zone, è venuto fuori uno dei lavori più belli mai fatti. Ne capivo poco di brand, ero più esperta di marketing, ma mi sono affidata a Giuseppe e Francesca e loro a me e alle mie capacità di facilitazione. Un salto nel vuoto per tutti, ma avevamo ben chiari gli obiettivi, i ruoli e le responsabilità: ognuno metteva la sua parte. Ci siamo fidati e ne siamo usciti tutti vincitori e più arricchiti di prima.

Cosa è andato bene

  • Il super team è assolutamente da ripetere. Copy e innovation specialist sono diventate le mie figure preferite.
  • Il non avere paura di cambiare l’agenda mi ha permesso di creare un grande risultato.

Cosa è andato male e da migliorare

  • Il workshop online mi ha insegnato una grande verità: online il tempo raddoppia.
  • Le persone si stancano e seguono con maggiore difficoltà. In quell’occasione ho creato un’agenda troppo fitta, basandomi sui tempi offline, e non è rimasto il tempo per alcune spiegazioni.