il problema odierno dei dati, detto meglio paradosso, è che abbiamo così tante informazioni da non saperle usare. Google Analytics non esce fuori da questo range e anche qui, se non si fanno alcuni set up o configurazioni nella piattaforma è come avere una pistola scarica. Avevamo già parlato di audit, ma qui si va oltre, adesso diamo per scontato che il set up sia corretto, vogliamo che la configurazione sia utile. Vediamo insieme come dare un senso alla raccolta dati:
1.Senza gli Obiettivi Google Analytics non serve a nulla
lo so che sembra una provocazione ma non lo è, rimane una semplice verità. ogni attività di business ha bisogno di ragionare in termini di obiettivi
- quanto devo raggiungere?
- a che punto sono?
ogni attività giornaliera se segue questi input è meglio organizzata e raggiunge in maniera più agile gli obiettivi.ogni tipo di business ha degli obiettivi, sia micro che macro. Su analytics dobbiamo ragionare in entrambe le visioni. facciamo qualche esempio anche se non esiste una regola di base per tutti.
- Editori: macro obiettivo pagevew>media annuale e microobiettivo evento scroll al 50%, no bounce
- Ecommerce: macro=transazione micro=aggiunta al carrello, vista prodotto
- local: visita allo store locator o pagina contatti
Cosa ti permette di fare?
da questo punto in poi potrete leggere VELOCEMENTE E FACILMENTE i report in funzione degli obiettivi
- quali sono le sorgenti che hanno portato più visualizzazioni di prodotto?
- quali sono i contenuti che hanno contribuito al raggiungimento degli obiettivi?
- ecc
Cosa si fa il set up?
per fare il set up dei macro obiettivi chiedetevi
per quale motivo il mio sito esiste?
per i micro obiettivi
quali sono le azioni che aiutano al raggiungimento del macrobiettivo?
per fare il set up si ha a disposizione 5 casistiche.
- eventi
- pageview
- durata
- profondità di pagina
per i micro e macro obiettivi assicuratevi che questi siano tracciati o come eventi o come URL. durata e prodondità di pagina sono obbligatori per tutti i business.
2.Come si comportano i miei utenti sul sito? raggruppamento contenuti or DIE
i dati granulari non rispondono mai a domande strategiche ma solo a domande di controllo. tipo, quante visite ha quella pagina? mentre quando vogliamo scoprire qualcosa di strategico è la clusterizzazione che ci permette di farlo. solitamente in ogni sito faccio fare almeno due raggruppamenti:
- raggruppamento per livelli: ovvero così com’è fatto il menù e magari gli chiedo di arrivare fino a 3 livelli. ad esempio 1 livello donna -uomo 2 livello scarpe – calzini – pantaloni ecc
- raggruppamento per funnel: home, pagina prodotto, customer service ecc
Cosa ti permette di fare?
questi due raggruppamenti hanno finalità diverse, il primo di prodotto il secondo di customer journey. Finalmente con questi raggruppamenti è possibile leggere il report flusso di comportamento.
come si fa il set up?
avete 3 modi. io ne uso 2 al massimo.
- fate scrivere tutto nel data layer è create una customer dimension (ovvero chiedete agli IT di farlo e campa cavallo)
- create delle regole di estrazione dalle URL (sempre che le URL sia seo firendly)
3.Qual è il mio customer journey?raggruppamenti canali or DIE
Questa è una delle fasi principali di tutta l’attività di marketing. Migliore è il tracciamento di una campagna, migliori sono le analisi e l’ottimizzazione che possiamo fare. Le parti fondamentali legate a Google Analytics sono tre:
- Tracciamento delle campagne con i parametri UTM: questi parametri permettono di identificare in modo parlante la sorgente, il mezzo e il nome campagna
- Configurazione dei canali custom: potete utilizzare delle regole per raggruppare le campagne, i mezzi o le sorgenti a piacere, costruendo dei canali aggregati, come paid e non paid ad esempio, e vedere subito le performance
1.Tracciamento delle campagne: come al solito, non esiste una regola sempre valida per tracciare bene, ma tutto va tarato sull’utilità, sulla dimensione del brand e sull’utilizzo che ne andiamo a fare.
Personalmente, in questi anni di lavoro ho costruito tre modelli. Uno base, relativo al minimo che potete/dovete fare; uno semplificato, facile da usare e con regole più flessibili; e uno molto più avanzato e complicato, ma ottimizzato per compiere analisi di attribuzione, ovvero le analisi volte a capire a quale sorgente va attribuito il valore della conversione e come spalmare il valore in tutto il customer journey.
Partiamo dalla base. Ogni volta che create una campagna che atterra sul sito dovete inserire i seguenti parametri all’interno dell’URL:
- Mezzi (utm_medium): il mezzo attraverso il quale la visita arriva sul sito, il “canale di trasporto”. Ad esempio: CPC, display, e-mail, affiliation. Separare le attività paid da quelle non paid, utilizzando mezzi diversi. Es. “email_paid” nel caso di attività paid e “email” per l’attività non paid. Infine, consiglio vivamente di separare le attività di remarketing da quelle non remarketing
- Sorgenti (utm_source): rappresenta la sorgente di origine della visita (sito, network, publisher) o il luogo dove la creatività viene mostrata. Es: “il_corriere”, “repubblica”. Non inserire nomi di dominio con www, punti o suffissi di dominio Esempi validi: “facebook”, “google”, “tgcom”. Esempi non validi: facebook.com, www.google.it, d.tgcom
- Campagna (utm_campaign): rappresenta il nome della campagna che genera le visite al sito. È bene inserire nomi delle campagne intuitivi e con riferimenti temporali. Es. “nome_campagna_mese_anno”. Ricorda di segnalare sempre le tipologie di campagne diverse come remarketing, DSA o GSP. Hanno performance molto varie e agiscono su diversi stadi del funnel, per questo ti suggerisco di differenziarle nel nome campagna
- Contenuto (utm_content): rappresenta la creatività utilizzata nell’annuncio, o il formato pubblicitario. Es: “468x60_banner”, “skin”, “trueview_instream”
- Modello base: nel nome campagna usa nome parlante + data
http://www.CLIENTE.it/?utm_medium=social&utm_source=facebook&utm_campaign=apertura_06062017
- Modello semplice: nel nome campagna usa nome parlante + data + obiettivo + target + remunerazione
http://www.CLIENTE.it/?utm_medium=social&utm_source=facebook&utm_campaign=apertura_06062017_AW_prospect_cpv
3) modello attribution: nel nome campagna include sigla del brand + categoria di pagina di atterraggio + sigla sorgente + norme + data + obiettivo + target
2.dopodichè Solitamente creo quattro custom channel (senza gli UTM non ce la potete fare):
- Custom channel ottimizzato: è impostato come il default ma certe volte il default non è corretto. Ad esempio, il default mette come sorgente Facebook nei referral. Quindi ne creo uno che prenda tutto Facebook e lo metta dentro social
- Custom channel paid non paid: raggruppo tutte le attività paid in un canale e le free in un altro
- Custom channel per funnel: questo è davvero interessante. In base al capitolo sul digital analytics journey, in cui abbiamo spiegato come le campagne agiscano su diversi stadi del funnel, creiamo dei raggruppamenti in questi termini: lower funnel, middle funnel e upper funnel
- Custom channel per attribution: questo metodo assomiglia molto al precedente, ma aggrega a un livello inferiore. Si differenzia sempre l’attività paid da non paid, remarketing da non remarketing e per funnel. A un livello ancora più avanzato si differenzia anche per media
se non fate questo state guardando le performance delle search e della display insieme. state guardando le performance del remarketing e non remarketing insieme. delle attività a pagamento e organiche insieme. che tipo di decisioni pensate di prendere in questo contesto?
Cosa ti permette di fare?
ti permette di comprendere meglio la performance dai canali ragionando per funnel e ricreare il customer journey dei tuoi clienti tramite le analisi di attribuzione. in questo esempio vedete come ho mixato content grouping e channel grouping per capire se i giusti canali atterrano nei posti giusti.
come si fa il set up?
il set up è uguale al raggruppamento contenuti ovvero tramite regole di estrazione
4. lo scroll è il nuovo bounce rate
5 anni fa il bounce rate era la metrica per eccellenza che ci diceva se gli utenti erano interessati o no. già a qui tempi c’erano delle eccezioni per tipologia di business tipo i blog dove un alto bounce era normale. oggi per motivi culturali, così come lo erano per le eccezioni, il bounce rate non uò più essere considerata la metrica che regna sull’interesse. questo perchè il comportamento degli utenti è cambiato: in italia CONUSLTIAMO da mobile e compiamo AZIONI da desktop. nella consultazione è normale guardare un contenuto è poi uscire. Insomma in un mondo cross device il bounce diventa una metrica pericolosa.
Esistono due modi per ovviare a questo problema
- inserire un evento di scroll (non interattivo, ovvero che non abbassa il bounce) e chiedersi, di tutto quelli che hanno fatto bounce, quanti sono arrivati fino al 75% della pagina? e da li depurare
- inserire un evento timer che invia una hit ogni 5 secondi che l’utente sta sul sito e da li depurare (questo è leggermente più complicato ma interessante per creare una metrica calcolata, magari ve la racconto un’altra volta)
Cosa ti permette di fare?
in questo modo è possibile rettifcare l’informazione. di quelli che fanno bounce quanti in realtà sono interessati davvero? se poi usate anche il raggruppamento contenuti diventa ancora più informativo.
come si fa il set up?
sicuramente col tag manager ci metterete 5 minuti. qui trovate una guida fatta molto bene che vi porta passo passo nella creazione.