Antropologia Digitale: Cosa vuol dire essere Umani nell’epoca Digitale?

antropologia
Odissea nello spazio – Stanley Kubrick

Cos’è l’antropologia digitale? 

L’utente digitale

Per capire l’antropologia digitale dobbiamo fare un passo indietro. Prima è utile comprende il consumatore o l’utente digitale. Negli anni 2000 la famosa “piramide dei bisogni” di Maslow è stata aggiornata alla “piramide cosma” ovvero la nuova piramide dei bisogni digitali: essere connessi, essere social ecc (approfondimento)

Dalla piramide si nota come i bisogni di stima, affetto e gli stessi bisogno fisiologici, siano stati sostituiti dalle tecnologie. Il bisogno di affetto si traduce nei “like”, il bisogno di stima si traduce in “followers” e così via. Bauman, il famoso sociologo scomparso recentemente, nel libro “La società liquida” pone l’attenzione su questa falsa sostituzione. Da questa teoria in pratica si possono rintracciare i comportamenti delle nuove generazioni. Quella degli anni ‘80-2000, detti i millennials, così abituati al cambiamento che vogliono tutto e subito. Sono sempre connessi, guardano il cellulare 146 volte al giorno (ricerca). Loro, o meglio, noi (perchè mi ci metto anche io), siamo la generazione a cui è stata data la tecnologia senza essere informati sui rischi. Non a caso, come hanno messo in evidenza importanti pedagogisti come Morin, siamo nell’epoca della comunicazione, ma non della comprensione. E questo fa la differenza. Nel nostro blog facciamo particolarmente attenzione a quella che si chiama l’educazione digitale (approfondimento)

la definizione di antropologia digitale

antropologia digitale

L’Antropologia digitale è lo studio dei comportamenti dell’uomo che si focalizza nella relazione tra umanità e tecnologia digitale. Studia come l’uomo interagisce con le interfacce digitali, come si comporta nel contesto digitale e come le tecnologie vengono utilizzate dagli umani per interagire tra di loro. Questa scienza può essere utilizzata anche  per capire come le persone percepiscono i brand all’interno delle comunità digitali e perchè le persone vengono attratte da particolari brand (marketing antropology applicata al digitale)

L’antropologia digitale è quindi una nuova branca dell’antropologia collegata alle nuove applicazioni di marketing utilizzate per estrapolare dati di mercato. Nel contesto del marketing “human to human o, come lo definisce Kotler nel suo libro marketing 4.0, “human centric marketing” l’etnografia digitale, attraverso lo studio delle etnie digitali (le tribù), offre un modo potente per scoprire le ansie latenti delle persone e i loro desideri al fine dell’utilizzo da parte dei brand.

Metodologie di studio e di ricerca

Esistono diversi metodi per iniziare questa tipologia di studi:

  • “Social listening”: la parte del monitoraggio delle conversazioni tra utenti. Si assegna un sentiment, ovvero un punteggio positivo o negativo o neutro ai commenti degli utenti e si fa una media della rete. Ovviamente questi procedimenti sono creati attraverso tecniche di web scripting che estraggono testi dal web e algoritmi di social listening capaci di attribuire un sentiment ad un testo (approfondimento)
  • Netnography: creata da Robert Kozinets la netnofia è la scienza che studia le tribù, ovvero le aggregazioni sociali digitali. In altre parole si occupa del comportamento umano nelle cosiddette “e-tribes” o nelle comunità online.
  • Ricerca empatica: l’insieme di ricerche qualitative che pongono l’essere umano al centro. In questo caso ci  vuole una persona in carne ed ossa con cui parlare ed interagire. Come già spiegato questo faceva già parte dell’area del marketing relativa alla user experience e conversion rate optimization. Un giorno ho letto un articolo che diceva che la vera qualità degli esseri umani, che ci contraddistingue di più dagli animali, è proprio l’empatia, ovvero la capacità di capire lo stato d’animo di una persona. In antropologia l’empatia è quella tensione indispensabile per avvicinarsi sia intellettualmente che emotivamente ai vissuti, alle forme di vita e alle realtà sociali altrui. Uno dei 6 bisogni umani è proprio quello di essere compreso.

Ma cosa vuol dire essere umani nell’epoca del digitale?

Cosa vuol dire essere “umani” in un’epoca dove siamo circondati dalla tecnologia, facciamo la spesa online, l’intelligenza artificiale e la robotica sono nelle nostre vite e ogni tanto le portiamo addosso? Quando la tecnologia sarà così avanti da fare operazioni chirurgiche meglio dei dottori, cosa che in parte accade già in che contesto si metteranno le persone? Da cosa scappiamo quando andiamo a fare i “digital rehab” nelle isole deserte? Tutte queste sono domande molto provocatorie, ma sono domande per creare il famoso dubbio cartesiano, il dubbio che ti fa pensare e trovare una soluzione.

Una volta lessi sul Sole 24 Ore questa frase “il 59% dei lavori sarà sostituito dalle macchine” (gennaio 2017). E questa fu la prima volta che il dubbio entrò dentro di me. Da lì sono partiti 6 mesi di studio per capire in quale direzione stiamo andando e come “salvarci”. La domanda cruciale è stata: cos’è che le macchine non posso fare?

Le macchine non possono emozionarsi, essere empatiche e creative. Nell’epoca digitale, a mio parere, essere umani vuol dire tornare a coltivare una parte del cervello che abbiamo un pò messo da parte dopo l’industrializzazione. Ovvero la parte creativa del cervello, quel famoso “pensiero divergente e creativo” che molti pedagogisti, come ad esempio Ken Robinson, stanno cercando di valorizzare.

Da qui parte la nuova sfumatura di marketing freaks, un blog che è partito dall’amore per i dati ed arrivato all’amore per le persone. Un blog che ha iniziato a parlare di marketing, ma che ha capito che per farlo ha bisogno di parlare di sociologia, antropologia, psicologia e neuroscienze.

Due sono i contributi che portiamo nella società:

  1. Articoli sull’educazione digitale per aiutare le persone a capire i rischi delle nuove tecnologie, visto che lo stato sembra esserne all’oscuro.
  2. Corsi di apprendimento innovativo per sviluppare la parte creativa del cervello

vedi anche: marketing antropologico